Il dottore inciampa sul ponte bagnato. La sua mano schizza per afferrare la vecchia ringhiera nel momento in cui il piede perde il collegamento con i circuiti della sua anca. Per un attimo, si sente disorientato. Sposta lo sguardo dalle placche bagnate del cavalcavia pedonale all'infinita massa di metallo, vetro e luce costante chiamata Settore Centrale Superiore.
Sbatte gli occhi per scacciare la luminosità e ricollega il suo piede bionico. Incisa nel circuito c'è una memoria sbiadita dell'ultimo utente. Roba costosa...
E di una taglia e mezza troppo grande, ribatte con amarezza la sua mente. È un ringraziamento di seconda mano da parte di un paziente dei quartieri ricchi, troppo spaventato per pagare il suo medico non autorizzato con crediti tracciabili.
Il dottore ha sfregato il processore mezza dozzina di volte da quando ne era entrato in possesso; ma intrappolate nel silicone ci sono ancora delle vecchie tracce di memoria, come impronte digitali difficili da rimuovere. Grugnisce, scuotendo la testa per scacciare il ricordo. Non è altro che un seccante memento di quello che succede quando un corpo di bassa estrazione sociale tenta di collegarsi a tecnologia troppo costosa per il proprio salario.
L'acqua scende lungo le ciocche dei capelli diradati del dottore e dietro i suoi nanocchiali, sfocando le luci dall'altra parte del ponte. Non sono stati diramati avvisi di condensamenti di umidità questa mattina, ma d'altro canto nulla ha avvisato il dottore di quello che gli è finito addosso oggi. Accarezza la custodia di plastica bioinerte che tiene nel taschino. Livello militare. Abbastanza per la pensione che si era promesso venti cicli prima.
Il dottore si trova da solo su quel tratto di metallo e plastica rinforzata che connette i settori più bassi agli ascensori meccanizzati del Settore Centrale Superiore. La folla di pendolari con la quale era arrivato è scomparsa velocemente tra le bancarelle oscure e le vie laterali del mercato della transizione. Grugnisce di nuovo ed accelera il passo, continuando la sua camminata zoppa lungo il ponte. Si passa una mano sul viso, per detergere l'umidità che ora comincia a scorrervi a fiumi. Sì, era vecchio, ma non abbastanza da ricordarsi della vera pioggia. Anche lui non conosceva altro che quel triste condensarsi di centinaia di milioni di respiri organici compressi l'uno sull'altro.
Il ronzare magnetico dell'ascensore dietro di lui rallentò mentre le porte si preparavano a rilasciare una nuova ondata di umanità potenziata nel labirinto del mercato. Dà un'ulteriore pacca alla sua garanzia per la pensione e arrischia un'occhiata dietro di sé.
Con un soffio pneumatico l'ascensore rivela il suo contenuto di oscurità e di infiniti volti sconosciuti. Il dottore riprende a respirare.
"Livello di transizione. Procedere con cautela", declama una voce digitalizzata.
La folla attiva i visori e tira su i cappucci di duvetyne sintetico per proteggersi dall'umidità e dal bagliore opprimente del Settore Centrale Superiore. Come topi ben ammaestrati, scorrazzano sul ponte.
È in quel momento che il dottore la vede: un'ombra predatoria di metallo che svetta con la sua testa sul resto della folla.
Gli occhiali si appannano col respiro, al ritmo crescente del suo panico.
L'ombra avanza entrando nella luce circostante. La sua silhouette è coperta di fasci di muscoli di fibra di carbonio tesi sopra pesanti servomeccanismi, le placche pettorali nere che divorano il bagliore attorno. Il dottore ne riconosce il colletto di pelo, arrotolato attorno ad un collo di acciaio nero anodizzato. Ma sono i contorni della maschera senza lineamenti dell'ombra, sottolineata solo dallo sgocciolare dell'acqua e dal riflesso pulsante dei cartelloni olografici, che fanno tremare le comuni ossa del dottore.
Khada Jhin.
Il dottore cerca di allontanarsi. Scivola di nuovo sulle piastre di metallo. La carne delle nocche di una delle sue mani si spella mentre cerca di aggrapparsi alle ringhiere del ponte. La folla, senza nient'altro in mente che non sia allontanarsi dall'umidità e dalla luce, fa cadere il dottore, indifferente alla paura che lo strozza.
Il dottore cerca di muoversi a gattoni, mentre piedi di carne e metallo schiacciano le sue dita sulle grate del ponte. Non riesce a tenere il passo. Lo sciame di gente che lo copre diventa sempre più rado, dando una linea di vista perfetta al suo inseguitore. Si pulisce di nuovo gli occhi dall'umidità con mani tremanti, gli occhiali persi nel caos. Il sangue si mescola alle lacrime. Il suo sguardo per un istante si schiarisce e gli mostra scampo: un convertitore d'umidità la cui ventola vomita groppi di aria umida e stagnante dai settori inferiori.
Riesce a raggiungere la sua protezione nel momento in cui la folla si disperde. Si accuccia ansimando, l'aria che soffia dalla fessura tra le sue labbra. Il labirinto del mercato di transizione non dista più di qualche metro. Se riesce a raggiungerlo può anche sparire, lontano da quell'ombra che lo tortura.
Il convertitore di umidità rallenta il suo pesante respiro e l'ultimo pendolare scompare nel dedalo, lasciando visibile la teca dal vetro a specchio di una bancarella abbandonata. In quel riflesso il dottore vede l'ombra di metallo portarsi alla spalla un lungo fucile a impulsi, la maschera senza lineamenti ora attraversata da pixel rossi come se fosse stata squarciata.
Il dottore alza la testa verso il bagliore dei settori superiori, pregando qualsiasi cosa sia all'ascolto di farlo sfuggire a quella mira inesorabile. Stringe gli occhi e implora... ma il futuro al neon non ascolta. Soprattutto una creatura così piccola e miserabile.
Anche con la pioggia il dottore sente l'inconfondibile scatto della sicura del fucile a impulsi. Porta le mani al petto, a proteggere l'unico vero tesoro che porta. Attraverso la custodia di plastica del pacchetto sente il cuore battere sempre più veloce.
E mentre la luce immobile lo opprime dall'alto, la sua mente animale viene riempita da un solo, unico pensiero finale.
Non c'è nulla che il futuro non prenda.
"Ferma riproduzione."
Alla mia ultima verifica delle prestazioni chiesi agli ufficiali esaminatori che cosa ci voleva per far carriera nel Settore Centrale. Uno di loro mi rispose che bisognava essere pronti a dar via un pezzo di sé stessi. Che ogni potenziamento avrebbe fatto salire nella linea di comando del PROGETTO ma che avrebbe richiesto in cambio un ulteriore pezzo di ciò che si è. Ribattei subito che, secondo me, nessuno sano di mente sarebbe disposto a pagare un prezzo simile per del silicone pulito e un logo ricercato.
Risero tutti. E mi promossero.
Ora, l'immagine davanti a me ondulava percorsa da fasci di statica. L'ologramma tridimensionale del corpo del dottore era fermo nel suo ultimo momento di vita. Il suo volto era rivolto al cielo, i suoi lineamenti un misto di terrore ed accettazione. A pochi centimetri dalla nuca, il raggio rosso di un fucile ad impulsi. Un altro paio di frame in avanti e il plasma concentrato avrebbe aperto un buco nella testa dell'uomo.
"Ti sei fermata prima della parte migliore, Vi."
Mosley, il mio nuovo partner assegnatomi da poco, si stiracchiò sbadigliando. Quello che un tempo era muscolo, nella sua gioventù, si era arreso alla gravità scendendo sul ventre. Combattere il crimine da dietro una scrivania gli aveva permesso di non perdere neanche una pausa nutritiva.
Ma è decisamente affamato. Per la terza volta notai che non riusciva a staccare gli occhi dal mio cubo di dati della promozione. Il nuovo capitano me l'aveva fatto cadere sul tavolo quella mattina, aggiungendovi congratulazioni sentite e il nuovo partner dai piccoli, crudeli occhi porcini.
Rimasi a guardare mentre Mosley cedeva, finalmente, alla sua avarizia. Prese il piccolo cubo dal tavolo olografico, palleggiandoselo come sovrappensiero tra le mani carnose.
"Non hai ancora installato queste nuove subroutine?" La sua voce era falsamente allegra mentre ci giocherellava.
Mi schioccai le nocche.
I miei guanti ATLAS erano sul tavolo, la dotazione standard delle guardie nei settori più bassi. Quasi tutte le reclute non ci pensavano due volte a passare a qualcosa in grado di mettere più distanza tra loro e chi avevano ricevuto ordine di catturare. Per me, però, non era mai stato un problema portare la cosa sul piano personale. Il loro potere grezzo mi calzava come un guanto, e senza installazione permanente non c'era possibilità che le memorie di qualcun altro si facessero un giretto nei circuiti. Mi ero comunque dovuta sorbire la mia dose di occhiate durante gli addestramenti di controllo al Settore Centrale, ma l'ufficiale addetto alla verifica aveva smesso di sogghignare quando il mio gancio destro era affondato nel petto di un manichino di titanio.
"Stai perdendo tempo, comunque" continuò Mosley. Aveva malauguratamente pensato che il mio non rispondere fosse un invito a continuare a parlare. "Un dottore scarso ha fatto una triste fine. Caso chiuso. Il capitano vuole sapere quando permetteremo a quell'ascensore di tornare a funzionare. Non possiamo continuare a bloccare il passaggio."
Lo ignorai. Nei settori inferiori, una triste fine non include deionizzazione craniale da centinaia di metri di distanza con un fucile a impulsi non registrato. C'era la mano di un professionista dietro. Mi rivolsi alla IA della stanza.
"Riprendere revisione. Tornare indietro."
"Specificare incremento temporale", rispose pedante la voce artificiale, come se anche il proiettore non volesse seguire il caso.
Cominciavo a sentire la frustrazione raschiare i limiti della mia pazienza. Ero in servizio dalle 06:00, e le regole dei settori superiori erano già di loro più irritanti di quanto non lo fosse immergersi fino al ginocchio nella spazzatura dei livelli industriali.
Avevo bisogno di una bella caccia. Magari prendendo qualcosa a pugni lungo la strada. Non mi serviva altro. Sbuffai, soffiandomi via dei capelli ribelli dalla faccia.
Primo giorno, Vi. Buona educazione. Socializzare. Non prendere a pugni nulla. Feci un respiro profondo, ripetendomi il mantra di quella mattina.
"Indietro di tre... no, quattro frame" dissi alla macchina nel tono più paziente possibile.
L'immagine sfarfallò di nuovo, ma questa volta per far andare indietro il modello olografico. Seguii con lo sguardo la luce mentre entrava nel campo del filmato di sicurezza fuori dall'ascensore. Dentro, solo oscurità. La sorveglianza, lì dentro, era stata compromessa; non avevo altro elemento che quella luce sospesa in aria.
"Partendo dal foro d'entrata, estrapolare altezza del sospetto e tipo di arma" dissi.
Delle luci presero forma nell'oscurità al suono del sordo ronzio dei calcoli automatici, tracciando con sottili raggi al neon una sagoma poligonale. L'unica cosa che il rendering riuscì a dirmi, però, fu che l'assassino era alto.
"Niente di tutto ciò è reale," borbottai. Nei settori inferiori non lavoravamo ai casi seguendo raffinati olovideo. "Come dovremmo fare a trovare qualcosa guardando un modello al computer?"
"Errore. Si prega di riformulare la domanda." Mi chiesi se l'IA fosse stata programmata per prendere in giro le persone. O forse era un'eredità degli schemi emotivi dei suoi creatori.
Mosley rise. "È così che funziona quassù, detective." Sottolineò con forza il mio grado, come a ribadire che non dovevo più seguire i ritmi lavorativi dei settori inferiori. "A volte un pesce sfugge alle reti, ma finché le luci rimangono accese va tutto bene. Prova a guardarla in questo modo: niente affanni e niente sporcizia."
Quella apatica consolazione mi fece digrignare i denti. Spostando lo sguardo dalla simulazione a Mosley, però, non me la sentii di dargli completamente torto. Gran parte della sua attenzione era ancora dedicata al cubo di dati.
"Allora... lo installi questo o no?" chiese.
Spensi l'olovideo. Non sarei riuscita a estrarre altre informazioni utili da quell'ammasso di luce proiettata. "Non mi fido dei potenziamenti" risposi cautamente.
Si girò a guardarmi. "Ragazza, questa non è roba dei settori inferiori scroccata da un collega passato di grado." Mi tese il cubo. "Questa è roba forte. Arriva dai piani superiori." La luce della console rimbalzò sulla sua superficie, illuminando il triangolo rovesciato del laboratorio corporativo del PROGETTO. "Sai che è fresco, o che perlomeno è stato ripulito come si deve."
Era abbastanza ovvio quanto Mosley lo volesse. Mi massaggiai il collo.
"Me ne hanno dato uno meno di un ciclo fa", mentii. "Non voglio rischiare il sovraccarico." Sollevai i miei vecchi guanti dalla scrivania. "E poi, questi funzionano ancora." Tesi una mano verso il cubo.
La tensione della cortesia tra colleghi lo coprì con una sottile patina di sudore, mentre cercava di resistere all'impulso di infilarsi le subroutine in quell'istante. Ma alla fine aggrottò le sopracciglia e me lo restituì.
"Ho il prossimo potenziamento fra un ciclo. Se alla fine decidi che non lo vuoi..." offrì.
Mi voltai e cominciai a camminare verso l'uscita.
"Ti farò sapere" dissi senza guardarlo. "Collega".
"Ehi, dove stai andando?" C'era una scintilla di preoccupazione nella voce di Mosley, ma non molta.
Mi infilai i guanti ed entrai nell'ascensore.
"A sporcarmi le mani."
Osservai il sensore di sicurezza spento mentre i numeri dei settori decrescevano sul display dell'ascensore. Il suo occhio in microvetro era offuscato e spento. Chiunque stesse inseguendo il dottore sapeva che il Settore Centrale era all'erta. Sfruttando l'ascensore vuoto mi sgranchii le spalle, stendendo le braccia dietro di me. Normalmente la larga cabina squadrata come una scatola starebbe straripando di lavoratori del Settore Centrale senza abbastanza crediti sul conto per permettersi gli affitti nei livelli superiori. Ma questo ascensore sarebbe rimasto fuori servizio per i civili finché il Settore Centrale non avrebbe chiuso il caso della morte del dottore.
Finché io non lo avessi chiuso. Per Mosley, invece, l'omicidio di un dottore senza licenza non era giustificazione sufficiente per bloccare il traffico di pendolari e l'efficienza della macchina del Settore. L'ascensore accelerò e per un secondo mi sentii senza peso. Senza pensarci disattivai gli smorzatori inerziali del miei guanti lasciando che la loro massa mi ancorasse a terra. Un secondo più tardi l'ascensore si fermò, spingendomi di nuovo dentro il mio corpo.
La porta di fronte a me si aprì. Una voce digitalizzata declamò la sua sentenza nell'aria umida. "Livello di transizione. Procedere con cautela."
Attivai il mio visore, uscendo con cautela dall'oscurità dell'ascensore e nella luce ambientale del ponte. Come sempre nei settori inferiori, ogni cosa grondava d'umidità. Sul mio collo riuscivo a sentire le gocce di condensa toccare la pelle dalla punta dei capelli.
Lo spiazzo di metallo era vuoto, così come le bancarelle nel punto dove il ponte toccava il mercato. Un ascensore fuori servizio chiudeva ogni attività nei paraggi. Nessuna possibilità di incontrare testimoni, sempre che fossero interessati a parlare con la polizia.
Feci qualche passo sul ponte e mi voltai a guardare. Impostato sui controlli manuali, l'ascensore e la sua oscurità non sarebbero tornati al Settore Centrale finché non avessi inserito il comando. Secondo l'altezza stimata era qui che l'assassino si trovava quando aveva sparato. Un passo in più e sarebbe stato visto dalle telecamere di sicurezza del ponte fuori dall'ascensore. Il convertitore di umidità dietro al quale il dottore aveva cercato riparo era circa cento metri più avanti. L'assassino era un professionista, senza dubbio.
Osservai le placche del ponte. C'erano dei graffi nel metallo... mi chinai per guardare meglio. Graffi recenti. Qualsiasi cosa più vecchia di un giorno o due avrebbe avuto ben più ruggine. Ascensore e ponte erano rimasti chiusi dal giorno dell'omicidio. Scansionai la profondità dei graffi e una stringa di numeri comparve nell'angolo inferiore del mio visore. Se i graffi fossero stati fatti dall'assassino, si trattava di un individuo notevolmente più pesante di un normale umanoide potenziato.
Riuscivo già a vedere le notizie del bollettino di settore. Dottore senza licenza vaporizzato da automa armato o qualcosa di altrettanto comodo.
Una corrente d'aria irregolare mi spinse i capelli bagnati contro la faccia. Con la coda dell'occhio gettai uno sguardo al ponte; vuoto, come prima. Annusai. Ozono. Tesi i muscoli delle spalle. Feci scattare il dispositivo ad accoppiamento di carica dei miei guanti e misi un ginocchio al suolo.
"Sai, l'occultamento prolungato di livello 6 in luogo pubblico è una violazione dei codici municipali del Settore Centrale" annunciai nel vuoto.
Una pozzanghera tremò leggermente davanti a me. I miei guanti vibravano di potenza, che scatenai immediatamente con un montante, impattando contro qualcosa di solido. Ebbi appena tempo di curvare le labbra in un sorriso prima che qualcosa di invisibile afferrasse il polso del mio guanto.
L'inerzia era troppa. Scagliata all'indietro dall'assalitore invisibile colpii con violenza le grate di metallo del ponte, l'impatto a malapena assorbito dalla mia corazza corporea.
L'aria tremò mentre la mia nuova amica usciva dall'occultamento. Distesa sulla schiena, strinsi gli occhi per vedere meglio senza la luminosità proveniente dall'alto. Era una donna coperta dalla testa ai piedi in armatura in elastomeri di livello militare, i capelli sbiancati da fotoni raccolti strettamente in una coda che le dava un'aria severa. C'era una luce fredda nei suoi occhi, e mi puntava la sua balestra da polso direttamente in fronte.
"Ho l'impressione che quella non sia registrata" dissi con un gemito mentre mi mettevo a sedere.
Le labbra della donna erano strette in profonda concentrazione, come se stesse calcolando la soluzione a qualche equazione matematica. Probabilmente quella che mi avrebbe ucciso più velocemente, pensai.
"Distintivo numero 20121219. Agente, settori inferiori. Promossa al Settore alle zero-sei-zero-zero di oggi" disse senza alcuna intonazione. "Congratulazioni, detective."
La sua voce era un ringhio digitalizzato, ma credetti di sentire una nota di curiosità ora che aveva lei tutte le carte in mano... o meglio, i dardi.
Continuò a parlare. "Sapeva che ero un pericolo, ma ha comunque cercato di ingaggiarmi."
"Stress da promozione" ribattei. "Forse dovevo solo prendere a pugni qualcosa."
"Secondo il suo fascicolo, le è stato consegnato un cubo di promozione del PROGETTO questa mattina" riprese lei, scansionando nuovamente la mia attrezzatura. "Non ha installato la subroutine."
"Ehi, ora stai andando troppo sul personale. Non credi che..."
"Mi serve", mi interruppe lei.
"Sei forse sovraccaricata?" Mi massaggiai il collo con i guanti di metallo fuori misura, spettinandomi i capelli in ciocche bagnate. "Sono a un secondo dallo sbattere il tuo sederino fasciato in una cella del Settore."
"Ci può indubbiamente provare" replicò lei, la balestra ancora puntata nella mia direzione.
Risi con amarezza. "E va bene. Che ne dici di un po' di cortesia prima di scambiarci i regali?" Il sarcasmo venne espulso dal mio processore vocale. "Il tuo nome."
"Segreto." La linea delle sue labbra si ruppe in un ghigno da predatore. "Se glielo dicessi, dovrei ucciderla."
Non era decisamente tipo da dire cose simili scherzando. Diedi un'occhiata con più attenzione al suo equipaggiamento e cambiai discorso.
"Non mi sembra ti servano potenziamenti." Feci un gesto verso il suo polso. "Quella bella balestrina da sola è di livello ben più alto di qualsiasi ciarpame dell'arsenale operativo del Settore Centrale."
"Sono a caccia."
"Siamo in due" dissi.
"Il cubo di dati."
Non c'era nulla di standard in lei, ma possedeva comunque quell'unica costante del Settore: alla fin fine, tutti volevano un pezzo di qualcun'altro.
Prima che potessi rispondere, una chiamata s'infilò nel mio comunicatore privato. L'auricolare si riempì di statica.
"Vi? Vi, ci sei?" Era Mosley. La sua voce grondava terrore. "A-avrei bisogno... di un po' di supporto... ehm, collega..."
"Sarei impegnata, Mosley." Diedi un'occhiata al tempo segnato all'angolo del mio visore. "Non dovresti essere fuori servizio?"
"Senti, vieni a darmi una mano, OK?"
"Un amichevole agente di quartiere è di sicuro più vicino a te" ribattei, tenendo lo sguardo sul volto della donna. "È di sicuro in grado..."
"Ti sto mandando la mia posizione."
Un punto di luce si illuminò nel mio visore, sei settori più giù. "La Pattumiera è un po' fuori dalla giurisdizione del Settore Centrale, Mosley" sospirai.
Più che una normale bettola, la Pattumiera era un buco pieno di reietti poco raccomandabili. Inoltre, era difficile da localizzare; preferendo stabilirsi in strutture destinate alla demolizione e ricostruzione, raramente rimaneva nello stesso posto per più di un ciclo. Perfetta, però, per scovare hacker non registrati, armi di contrabbando o potenziamenti di seconda mano "poco usati". Tolleravamo la sua esistenza nei settori più bassi, perché rendeva più semplice raggruppare i sospetti quando serviva. Ma era anche un posto perfetto per venir permanentemente ripuliti se non si stava attenti.
"Faccio qualche altro lavoretto. Sai, 'ufficiosamente', per quanto riguarda il nostro lavoro." La mezza spiegazione di Mosley era soffocata da una punta di panico. Era difficile immaginarlo, fuori forma com'era, come scagnozzo prezzolato. "Senti, so che abbiamo appena iniziato a lavorare assieme, ma questo tizio mi vuole uccidere. Non so chi altro chiamare."
Merda. "Arrivo. Rimani...”
La connessione si staccò all'improvviso. Tirai un pugno potenziato al ponte, ammaccandone la grata di metallo, e guardai al mistero di livello militare ancora in piedi di fronte a me. La sua balestra non si era mossa di un micron.
Mi alzai, scommettendo sul fatto che forse non mi avrebbe sparato.
"Devo andare. C'è un ascensore per i livelli inferiori dall'altro lato del ponte. Se disabilito le restrizioni di sicurezza e ne controllo manualmente le velocità, dovrei riuscire a farcela prima che il mio collega versi il suo drink sulla persona sbagliata." Mi voltai per andarmene. "Consideralo un avvertimento" aggiunsi, seccamente. "Fai registrare quell'arma o la prossima volta dovrò farti una multa."
"La Pattumiera ucciderà il suo uomo prima che l'ascensore raggiunga il livello successivo" mi urlò dietro la donna. "Che ne pensa di qualcosa di un po' più veloce?"
Uno schiocco elettrico accompagnato da una zaffata d'ozono mi fece voltare.
Una moto monoposto da combattimento uscì dall'occultamento. L'aria umida stava cominciando a condensarsi di nuovo in pioggia, ma l'acqua veniva respinta dalla carena in aerografite nera. Sentii il pulsare del motore magnetico che si accendeva.
Mi lasciai scappare un basso fischio. "Quella di certo non è registrata."
"Corretto."
"Non sembri il tipo da dare dei passaggi gratis."
"Un passaggio per quel cubo di promozione" disse senza intonazione, dando gas. "Lo prenda come un potenziamento alla velocità."
Guardai la donna negli occhi. Avrebbe potuto spararmi e prendere quello che voleva.
"Non mi fido dei potenziamenti" dissi.
La raggiunsi e salii sul sellino dietro di lei.
"Fa bene." Avanzò fino a far sporgere la ruota oltre il ponte. "A proposito. Mi chiamo Vayne."
Sei settori schizzarono sfocando sullo sfondo al neon. Mi concentrai sulla posizione di Mosley sul mio visore per evitare di vomitare il mio ultimo nutri-pack sulla carrozzeria del bolide di Vayne.
Parcheggiò la moto su un bocchettone per il fuoco sopra la Pattumiera, segnalato solo da un leggero odore acre nell'aria. Esplorai i flussi in entrata e uscita della folla serale con un paio di binocoli ad ultravista.
Più frequentato del solito. Sembrava che qualcuno avesse suonato la campanella del pranzo per tutti i gatti selvatici del circondario.
"È là dentro." Mi girai verso Vayne ed estrassi il cubo di dati da una delle tasche tattiche alla cintura. "Ecco. Prima che mi dimentichi del biglietto."
"Un poliziotto onesto. Non ne sono rimasti tanti, in giro." Vayne prese il cubo e misurò l'ultima incarnazione della Pattumiera. "Sembra persino meno presentabile dell'ultima volta."
Annuii. "Pare ieri che interrompevo risse in postacci del genere."
"Era ieri, infatti." Il sorriso freddo di Vayne era ritornato. Controllò la cella d'energia della balestra più grande che portava in spalla. "Immagino non abbia intenzione di entrare dalla porta principale."
"Dove sarebbe il divertimento?" risposi. "Non devi venire."
"Non è l'unica che ha voglia di prendere a pugni qualcuno, detective."
Scrollai le spalle e camminai fino al retro, esaminando la struttura dell'edificio per capire quali fossero le pareti portanti. L'edificio era pericolante e dovevo fare attenzione. Non avrei reso un gran servizio a Mosley se gli avessi fatto crollare il soffitto in testa mentre era ancora all'interno.
Scovai il posto meno pericoloso e caricai il mio guanto, colpendo il muro con tutta la forza della frustrazione della giornata.
La vecchia struttura in carbonio a nido d'ape crollò con due colpi ben assestati. Il buco era abbastanza grande da farci passare tre persone. Mi scrollai di dosso pezzi d'edificio mentre mi addentravo nell'oscurità.
Ero stata fortunata. Avevo aperto l'entrata di servizio in un magazzino pieno fino al soffitto di arti usati, nessuno dei quali neanche lontanamente pulito. D'altro canto, comprare potenziamenti personali appena usciti dalla fabbrica era qualcosa tipico di chi viveva in settori decisamente più in alto di dove eravamo noi.
Spinsi di lato delle tendine di plastica per rivelare una stanza più grande che pulsava di tenui luci fluorescenti viola e blu. I profondi bassi della musica mi facevano vibrare la corazza pettorale. Indicai un'area rialzata piena di tavoli e di sedie.
"È lui?" Vayne aveva forzato il mio comunicatore interno e l'aveva collegato direttamente col proprio. Sentivo la sua voce naturale nella mia mente, bassa come prima ma priva della forzatura del processore vocale. Fece un cenno verso una grossa figura seduta da sola a un tavolo olografico.
"Hackerare il comunicatore personale di un ufficiale del Settore Centrale è una violazione punibile con il carcere" replicai. "Non ho alcuna intenzione di chiederti dove hai imparato a farlo."
Vayne sorrise. Da dov'ero riuscivo a vedere gli occhi porcini di Mosley riflessi nel leggero bagliore di fronte a lui e annuii.
"Sì, è lui."
Lasciai che una leggera scarica di energia pervadesse i miei guanti, illuminando d'arancione il pavimento rotto. Gli avventori della Pattumiera di fronte a me conoscevano bene quelle luci e mi lasciarono passare senza far domande.
Presi una sedia e mi sedetti al tavolo di Mosley. La luce del tavolo sfarfallò. Notai che quella postazione era stata usata di recente come zona medica per chirurgia neurale, come suggeriva il piccolo cestino di denti vicino al drink di Mosley. Chi non possedeva ingressi dati approvati dal Settore Centrale si collegava a qualsiasi nervo trovasse, e quelli sotto i molari erano i più facili da raggiungere.
Mosley gettò uno sguardo a Vayne. "N-non avevi detto che portavi un'amica, Vi."
"Un potenziamento" corresse Vayne.
Mi chinai in avanti mettendo entrambi i pugni guantati sul tavolo e facendo quasi rovesciare il cestino di denti. Alzai il mio visore così da poter guardare Mosley nei suoi veri, fragili occhi.
"Ho pensato mi servisse un po' di supporto in un posto del genere. Tutti quelli che vengono alla Pattumiera cercano qualcosa. Cosa stavi cercando tu, Mosley?"
Le nocche dei miei guanti prudevano di energia repressa.
"Non voleva quello che avevo io... quindi gli ho parlato del tuo potenziamento." La voce di Mosley cedette e i suoi occhi si riempirono di lacrime. "Se era interessato, forse sarei riuscito a convincerti a vendermelo. Ha detto... ha detto che se riuscivo a farti venire qui..."
"Dov'è questo tuo acquirente?" Vayne scansionò la folla di canaglie attorno a loro.
Un sottile raggio di luce rossa si accese, puntando direttamente allo sterno di Mosley.
Una voce inumanamente calma prese possesso del vecchio comunicatore generale dell'edificio. "Sono qui, mia cara."
Mi girai a guardare il volto di Vayne contorto da una smorfia di rabbia. Ogni agente dei settori inferiori conosceva quella voce. "Jhin" ringhiò lei.
"Luogotenente Speciale Vayne, che deliziosa sorpresa. Ti vedo decisamente in forma. È triste quello che è successo alla tua squadra, ma li indossi con una tale grazia. Il potenziamento alla balestra, in particolare... meraviglioso."
"Jhin? Il tuo acquirente è Khada Jhin, Mosley?" Gettai uno sguardo a quel buffone idiota che era il mio nuovo collega. Annuì miseramente. Jhin era un famoso hacker potenziato, con un appetito particolare per gli aggiornamenti di alto livello. Si diceva fosse un tecnico del mercato nero quasi completamente ripulito in un lavoro fatto male, con conseguente grave frammentazione della personalità, e l'ultimo notiziario che avevo scaricato sosteneva che da allora prendesse i pezzi più pregiati delle altre persone. Anche se non fosse mai stato frammentato, di certo non sarebbe ora rimasto granché di sano, dopo essersi installato pezzi di così tanta gente.
Inoltre, sembrava proprio che lui e Vayne si conoscessero da tempo.
"Questo giorno continua a migliorare" mormorai a bassa voce.
Jhin rise. La follia, nascosta dalla distorsione, mi diede i brividi lungo la spina dorsale.
"Ti distruggerò pezzo per pezzo, infame virus" disse Vayne alla voce incorporea. La sua rabbia era quasi palpabile.
"Magari più tardi, mia cara. Concentriamoci su quello che voglio ora." La voce di Jhin divenne un basso vibrare e snervante. "Il potenziamento."
"Non è più suo." Vayne estrasse il cubo di dati e lo sollevò in alto.
"Che delusione" sospirò Jhin. "Speravo lo avessi già installato. Beh, poco male. Vuol dire che dovrò riscrivere il terzo atto."
Un getto di plasma rosso attraversò l'aria tra me e Mosley emettendo un acuto gemito. Senza il mio visore attivato, l'intensità della luce mi accecò. Il rumore di sottofondo di persone e strumenti si fermò e venne sostituito dal panico, riempendomi le narici dell'odore della paura e del silicio bruciato. Lacrimai e sbattei le palpebre per ripulire il bruciore del neon dalla mia vista.
Oltre la sovrimpressione di luce vidi una bruciatura sulle nocche di uno dei miei guanti e un buco che attraversava Mosley da parte a parte. Non serviva la scientifica del Settore Centrale per confermarmi che era la stessa arma che aveva sciolto il dottore sul ponte.
"Quel topo è qui", disse Vayne sul nostro comunicatore, "e io lo ucciderò. Se l'è cercata." Mi lanciò il cubo di promozione. "Cerchi di non farsi sparare."
Afferrai il potenziamento mentre Vayne attivava il suo occultamento. La Pattumiera era quasi vuota ormai. Non c'è niente come un impulso di plasma de-ionizzato per far muovere le persone. Caricai i miei guanti e il loro bagliore ambrato illuminò l'oscurità.
La risata sintetica di Jhin rimbalzò sulle pareti. C'era un sibilo di statica nel comunicatore generale.
"Ah, ah, ah, detective. Un gatto con i guanti non prende topi" ronzò lui.
"Khada Jhin," dissi, "sei ricercato per numerose accuse di omicidio." Guardai la parte superiore di un piano sventrato, cercando la rossa luce rivelatrice. "Ah, e hai pure fuso il mio collega."
"Ma se neppure ti piaceva. Cos'è che avevi detto?" Ci fu uno schiocco e un altro sibilo mentre veniva caricato un file audio. "Ah, sì. Ecco qui..."
Il sibilo si fermò. Sentii la mia stessa voce diffondersi dal comunicatore. "Non mi fido dei potenziamenti."
"Bel trucchetto." Continuai la mia caccia tra le pila scartate di vecchia tecnologia. "Ho quello che vuoi."
"La tua nuova amica non ha gradito il regalino?" L'eco di ulteriori risate mi circondò. Ci fu un leggero movimento nell'angolo di un pezzo di specchio, la superficie infranta in una rete di piccoli riflessi. "Neanche a lei piacciono i potenziamenti. Ti ha parlato dei suoi ultimi compagni? Della sua squadra?"
Non risposi. Continuavo ad avanzare verso la sua ultima posizione.
"Sono tutti morti." Riuscivo quasi a vedere il sorriso crudele di Jhin. Si stava divertendo, sempre che un uomo quasi completamente macchina potesse sentire qualcosa del genere. "Soprattutto il Luogotenente Speciale Shauna Vayne. L'hanno ricostruita, ovviamente. Lei era speciale."
"Chi?" chiesi. Magari, se avesse continuato a parlare avrebbe fatto un qualche errore. "Chi l'ha ricostruita?"
"Il PROGETTO, ovviamente, sciocca gattina. Ci hanno ricostruiti tutti." La sua risata ruppe le frequenze più alte e venne distorta dolorosamente nel mio orecchio. "Ma il loro lavoro sarà molto più difficile con te quando avrò finito..."
L'oscurità sputò un cilindro di metallo. Mi tuffai di lato. Il cilindro colpì una pila di macerie, provocando una piccola esplosione, prima di rimbalzare ed esplodere contro una seconda pila.
"Ti ha mai detto come sono morti?" Il respiro eccitato di Jhin si diffuse nel comunicatore. Mi alzai lentamente, un puntino di luce rossa sul mio ventre. Cinquanta metri più in là vedevo chiaramente la sua alta figura metallica prendere la mira.
Jhin esplose di nuovo in una risata. "È stata..."
"Una trappola" concluse Vayne nel nostro comunicatore personale, la sua sagoma che usciva dall'occultamento giusto di fianco a lui.
Mi misi a correre, guardando la balestra di Vayne illuminare l'oscurità una, due, tre volte, ma ogni volta lei rotolava via mentre Jhin rispondeva al fuoco. La sua arma era meno accurata dalla corta distanza, ma perfettamente in grado di distruggere le mura vicine.
Vayne si lanciò verso l'ombra metallica, atterrandolo. Li avevo quasi raggiunti.
"Siete pronte, gattine?" Sibilò Jhin. "È tempo di scoprire se sapete correre."
Una voce digitale annunciò: "Sovraccarico manuale. Sequenza di demolizione iniziata. Ricostruzione del settore imminente." Luci ambrate e basse sirene si svegliarono sotto l'oscurità dell'edificio pericolante. Settori come questi venivano regolarmente sigillati e fatti collassare per far spazio a nuove fondazioni per le più alte strutture torreggianti.
Non riuscii a capire se l'avviso conteneva altro, mentre una serie di piccole esplosioni cominciavano a propagarsi nella Pattumiera. Il metallo si lamentò sentendo cedere i supporti di cemento.
Jhin e Vayne si separarono, e lei rotolò per rialzarsi. Mi fermai, completando lo stallo. Era la prima volta che riuscivo a vedere Jhin di persona. Fece rientrare un servomeccanismo nella sua spalla con un inquietante suono meccanico. Non credo rimanesse traccia di carne in quell'uomo; non aveva neanche una faccia, solo un drone simile ad un ragno incastrato su un collo d'acciaio.
"Forza, luogotenente. Sparami." Jhin allargò le braccia, come a voler abbracciare Vayne. "Non è quello che hai sempre voluto?"
Imbracciò la balestra più larga che portava in spalla. I suoi lunghi flettenti metallici si spiegarono dalla canna come ali di un predatore.
"Vayne!" La chiamai, urlando per sovrastare il rumore. "Dobbiamo andare! Ora!"
"Questa caccia è finita" ringhiò Vayne prendendo la mira con cura. "Sei un uomo morto."
"Sempre che io sia ancora un semplice uomo" rispose Jhin, con troppa calma.
Lei sparò il dardo. Lo colpì in pieno petto, facendolo volare all'indietro e impalandolo su una colonna di cemento. Era bloccato. Lo scheletro metallico di Jhin si contorse per un secondo, come se gli fosse stata staccata la corrente. Il suo volto aracnide si oscurò.
"Vayne!" La guardavo, ma non mi vedeva. Non vedeva nient'altro che Jhin.
Un secondo più tardi, il drone nero e lucido del volto di Jhin si riaccese pervaso da puntini di neon rossi. Dei servomeccanismi si aprirono e quello strisciò lungo il corpo cercando di scappare.
"Distruggi quella cosa!" Urlò Vayne. Sparò piccoli dardi di plasma dal polso, ma il drone li schivò tutti con i riflessi di un insetto.
Atterrò su una colonna vicina. Colpii il cemento con forza, facendo esplodere la rete di supporto plastica, e il drone venne scagliato sul soffitto. Vayne continuò a sparare a quella cosa a forma di ragno mentre si infilava in una crepa in un angolo e scompariva nell'oscurità.
Un altro pezzo di soffitto crollò sulla testa di Vayne. Non c'era tempo di chiedere permesso. Abbassai le spalle e corsi contro di lei, facendola volar via attraverso una finestra oscurata e dentro la struttura di fianco.
La caduta fu dura e accompagnata da una pioggia di vetro. Osservai con stupore mentre il peso combinato del Settore Centrale schiacciava l'attuale Pattumiera, annichilendola.
"Alla faccia del primo giorno" mormorai. Flettei le dita dei miei guanti, per assicurarmi che funzionassero ancora. Avevo ancora in mano il potenziamento della promozione. Lo offrii a Vayne. "Credo che questo sia tuo."
Lei si alzò in piedi, emanando ondate di rabbia. La luce nei suoi occhi si concentrò in scintille di furia pura. Ci fu uno schiocco e un soffio, accompagnati da una zaffata di ozono mentre Vayne scompariva nella notte.
"Lei mi ha sottratto un pezzo di vendetta, detective" disse, la sua voce che echeggiava nella mia mente. "Un potenziamento non può saldare un simile debito."
L'area attorno alla struttura collassata è silenziosa. La cortina di carbonio infranto e travi d'acciaio piegate si muove. Una piccola creatura simile ad un insetto emerge dal caos, scuotendosi di dosso le macerie. Nere gambe di ragno lo spingono fuori da un mucchio di rovine. Il lucido carapace è polveroso, ma intatto. Si gira secondo i punti cardinali per riorientare se stesso. Scrosci di condensa cominciano a cadere, ripulendolo... ma non abbastanza.
Un'alta ombra di metallo esce dalle rovine e si inginocchia davanti al drone insetto.
Il ragno si arrampica su una gamba in fibra di carbonio, oltre un colletto di pelo impolverato e infeltrito, e si siede su una spina dorsale di acciaio inossidabile. Sotto il costante bagliore dei settori superiori, i circuiti del drone si ricollegano al suo corpo.
L'ombra di metallo alza un braccio, scosta il tessuto della veste che indossa e infila un dito dentro la sua stessa corazza toracica. Terminata l'esplorazione estrae un corto dardo dalla struttura in fibra di carbonio, la cima pulsante ancora intatta. Forti dita rompono cautamente l'involucro del dardo, rivelando un piccolo blocco di circuiti. Con precisione chirurgica il blocco viene collegato a un piccolo ingresso dietro il volto della creatura. I lisci contorni neri della maschera tornano in vita in una miriade di luci rosse.
Un ronzio digitale cresce dall'interno dell'ombra di metallo per poi erompere in un'armonica tronca di risate sadiche. Rimbalzano e riecheggiano saettando lungo il settore fino a raggiungere la cima.
"E col mio lavoro", mormora Jhin al labirinto di neon sopra di lui, "voi trascenderete".